Nel Vangelo di oggi, Gesù si rivolge a coloro che avevano creduto in lui, ma che ancora non avevano compreso la profondità della sua Parola. Le sue parole sono potenti e dirette: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi.” È un invito che va oltre l’ascolto superficiale: rimanere nella Parola significa lasciarsi abitare da essa, lasciarsi modellare e trasformare da Cristo stesso.
Tuttavia, i Giudei si ribellano a questa affermazione, ritenendosi già liberi in quanto discendenti di Abramo. È qui che emerge un punto centrale della riflessione: non è l’appartenenza esterna, culturale o religiosa a fare la differenza, ma la capacità di accogliere la verità di Dio nel profondo del cuore. Gesù non nega la loro discendenza, ma mette in luce una contraddizione: si dichiarano figli di Abramo, ma non agiscono secondo la fede di Abramo. La loro chiusura alla verità dimostra che la Parola non ha spazio in loro.
Gesù spiega che chi commette il peccato è schiavo del peccato. È una schiavitù che non si vede subito, ma che si manifesta nel rifiuto della luce, nella paura della verità, nell’attaccamento alle proprie certezze umane. Solo il Figlio ha il potere di liberarci davvero, perché solo lui viene dal Padre e conosce la verità che salva. Non si tratta di una libertà qualsiasi, ma di una libertà interiore, profonda, che ci rende figli e non più schiavi.
Questa Parola ci provoca ancora oggi: dove ci sentiamo liberi, ma in realtà siamo legati? A quali “padri” facciamo riferimento: alla verità di Dio o alle nostre illusioni? Il Vangelo ci invita a non accontentarci di una fede di superficie, ma a entrare in relazione viva con Cristo, a rimanere in Lui. Solo così potremo sperimentare quella verità che non giudica, ma ci guarisce; che non opprime, ma ci rende davvero liberi, perché nasce dall’amore del Padre.