Il 20 aprile 1492 nasceva ad Arezzo Pietro Aretino, scrittore, poeta, drammaturgo e polemista, tra le penne più irriverenti e influenti del Rinascimento italiano. Figlio illegittimo di un calzolaio, si fece strada nella cultura del suo tempo grazie a un’arma affilatissima: la parola. Ironico, tagliente e spregiudicato, Aretino fu protagonista della vita artistica e politica del Cinquecento, diventando noto come “il flagello dei principi”.
Trasferitosi a Roma e poi a Venezia, fu vicino a grandi artisti come Tiziano e Sansovino, e fu coinvolto in numerose polemiche che gli valsero ammirazione e timore. La sua scrittura spaziava dalla satira alle opere teatrali, dai sonetti erotici ai dialoghi filosofici e morali. Con i suoi “Sonetti lussuriosi”, accompagnati dalle incisioni del Raimondi su disegni di Giulio Romano, sfidò apertamente la censura e l’ipocrisia del tempo.
Ma Aretino non fu solo scandalo: con i suoi “Ragionamenti”, che mettevano a confronto cortigiane, monache e nobildonne, seppe raccontare la condizione femminile con uno sguardo acuto, disilluso e a tratti modernissimo. Fu anche autore di lettere pubbliche in cui commentava con sarcasmo le vicende politiche e morali del suo secolo, conquistandosi il rispetto – e il timore – di papi, re e imperatori.
Morì nel 1556, lasciando un’immagine indelebile di sé come scrittore libero, scomodo, talvolta scandaloso, ma sempre geniale. Pietro Aretino fu l’incarnazione di un Rinascimento che non era solo arte e armonia, ma anche critica feroce, sensualità e libertà di pensiero.