Il 28 aprile 1937 si spegne a Roma Antonio Gramsci, uno dei più grandi intellettuali e pensatori politici del Novecento. Fondatore del Partito Comunista d’Italia nel 1921, Gramsci aveva dedicato la sua vita alla lotta contro il fascismo e all’elaborazione di una nuova teoria marxista, centrata sul concetto di egemonia culturale. Arrestato dal regime di Mussolini nel 1926, trascorse gran parte della sua esistenza in carcere, dove continuò a studiare e a scrivere nonostante le condizioni di salute sempre più gravi.
Durante la lunga prigionia, Gramsci compose i celebri “Quaderni del carcere”, una monumentale raccolta di riflessioni sulla politica, la cultura, la società e il ruolo delle ideologie. I suoi scritti, pubblicati postumi, influenzarono profondamente il pensiero politico e filosofico del dopoguerra, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Gramsci offrì una visione originale del rapporto tra struttura economica e sovrastruttura culturale, sottolineando come il consenso e la cultura siano strumenti fondamentali per il mantenimento del potere.
La morte di Antonio Gramsci avvenne pochi giorni dopo la fine ufficiale della sua detenzione, quando ormai era provato da anni di privazioni e malattie. La sua figura continua a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per gli studi politici e sociali contemporanei, incarnando il valore del pensiero critico e della resistenza intellettuale contro ogni forma di oppressione.